Mutazioni Genetiche

Lo sviluppo dell’uomo dipende da fattori genetici ed ambientali. La componente genetica di un soggetto, o genoma, è stabilita al concepimento. Le informazioni genetiche sono trasportate nel DNA dei cromosomi e dei mitocondri.

I geni (tra i 60000 e i 100000 nell’uomo) sono le unità di base dell’ereditarietà e sono disposti linearmente all’interno del DNA lungo i cromosomi; ciascun gene ha una collocazione specifica (locus) nei cromosomi. Il numero e la disposizione dei loci sui cromosomi omologhi sono solitamente identici. Tuttavia la struttura di un gene specifico può presentare variazioni minori (polimorfismi) senza dar luogo alla malattia. Le sequenze nucleotidiche specifiche dei geni che occupano i due loci omologhi lungo i due cromosomi appaiati vengono definite alleli. I due alleli (vale a dire uno ereditato dalla madre e uno dal padre) possono presentare sequenze nucleotidiche leggermente differenti o possono essere identici. Un soggetto con 2 alleli identici per un particolare gene è un omozigote; un soggetto con 2 alleli diversi è un eterozigote. Se un carattere o un disordine si determina quando è anomalo solo un allele, il carattere è definitodominante; un carattere è definito recessivo se si verifica solo quando entrambi gli alleli nei loci di entrambi i cromosomi sono anomali.

Le potenti tecniche di genetica molecolare hanno reso possibile l’analisi a scopo clinico di DNA, RNA, cromosomi, proteine, metaboliti o altri prodotti genici per evidenziare genotipi, mutazioni, fenotipi o cariotipi correlati o meno con patologie umane ereditabili. I risultati di tali indagini, effetuabili in età prenatale, neonatale, su soggetti portatori o su intere famiglie a rischio, si possono applicare alla diagnosi e alla prognosi di malattie ereditarie, alla predizione del rischio-malattia, all’identificazione di portatori sani ed alle correlazioni fenotipo-genotipo.

Le Patologie studiate nel nostro Laboratorio comprendono:

Il sistema immunitario ha il compito di riconoscere le particelle o gli organismi estranei al corpo e di eleminarli prima che possano recare danno. Quando il sistema immunitario perde la capacità di distinguere le strutture dell’organismo in cui opera da quelle estranee e pericolose si scatena la “malattia autoimmune”, ovvero la risposta immunitaria contro qualche parte dell’oganismo stesso. Purtroppo le malattie autoimmuni sono in netto aumento statistico e sono spesso caratterizzate da sintomi molto gravi; tra queste sono comprese l’Artrite Reumatoide a livello delle articolazioni, il Lupus, la Sclerodermia a livello del derma, il morbo di Chron e la Rettocolite a livello dell’intestino, la Sclerosi Multipla a livello della guaina mielinica, la Glomerulonefrite a livello dei reni, la Tiroidite a livello della tiroide e così via.

Uno dei problemi principali della medicina è stato sempre quello di chiarire come alcune malattie colpiscono determinati soggetti e non altri. Una delle spiegazioni a questa osservazione è l’esistenza di fattori ereditari che conferiscono “suscettibilità” o viceversa resistenza alle malattie stesse; tra questi un ruolo importante è attribuito ai prodotti del sistema HLA (Sistema Maggiore di Istocompatibilità).

E’ stata infatti ampiamente descritta per molte malattie autoimmuni una significativa correlazione con alcuni antigeni HLA. Per alcune patologie il rapporto fra alleli HLA e malattia è dovuto ad una concatenazione tra loci. Esistono infatti alcune malattie ereditarie monofattoriali il cui gene responsabile è situato vicino o internamente al sistema HLA. Poichè in una famiglia l’allele che causa la malattia viene trasmesso solitamente insieme ai geni che si trovano vicini ad esso sul medesimo cromosoma, un soggetto malato trasmetterà sia l’allele per la malattia che gli alleli HLA che si trovano vicini ad esso sul medesimo cromosoma, pertanto si dice che quella malattia segrega insieme ad HLA.

L’interesse della concatenazione tra il gene per una malattia ed il sistema HLA sta nel fatto che, essendo i prodotti di HLA evidenziabili attraverso le tecniche di genetica molecolare del nostro laboratorio, nei familiari di persone affette è possibile documentare la presenza dei geni per malattia anche prima che la patologia si manifesti e per le malattie recessive è anche possibile riconoscere i portatori eterozigoti (“portatori sani”) del gene responsabile.

La celiachia è un’intolleranza alimentare permanente al glutine caratterizzata da una risposta immunitaria inappropriata in soggetti geneticamente predisposti. E’ la forma più comune di intolleranza alimentare nei paesi occidentali e colpisce circa 1 individuo su 100.

Negli ultimi anni si sono susseguiti numerosi studi sulla conoscenza dei meccanismi patogenetici e soprattutto molecolari alla base della malattia celiaca; certo è che si tratta di un complesso disordine genetico che coinvolge più regioni cromosomiche e, di conseguenza, più loci sembrano coinvolti nella suscettibilità alla malattia.

Condizione necessaria per sviluppare la celiachia è la presenza sulla membrana delle cellule di una molecola HLA di classe II formata da due particolari catene alfa e beta (il cosiddetto eterodimero HLA), codificate dagli alleli a 0501 e b 201, in grado di legare con alta affinità peptidi di gliadina e di presentarli agli specifici linfociti T. Quando la tipizzazione HLA veniva effettuata con tecniche sierologiche questa configurazione prendeva il nome di DQ2. In realtà non sempre al fenotipo DQ2 (identificato per via sierologica) corrisponde la presenza dell’eterodimero caratteristico della celiachia. L’eterodimero “celiaco” è sempre presente quando al DQ2 si associa il DR3 (aplotipo DQ2-DR3) e in soggetti con aplotipo DQ2-DR7/DR5. Nel primo caso l’analisi del linkage ci mostra che sullo stesso cromosoma sono presenti sia i geni della catena a, A0501, che quelli della b, B0201 (configurazione in cis). Nel secondo caso i due geni si trovano su cromosomi diversi (in trans): sul cromosoma che esprime la specificità sierologia DR7 è presente la sequenza B0201 per la catena beta mentre sul cromosoma che esprime DR5 la sequenza A0501 per la catena alfa. In una minoranza dei celiaci (8%) la predisposizione è legata a DQ8 associato ad DR53, ugualmente dotato di alta affinità per la gliadina. La celiachia pertanto risulta primariamente associata al dimero DQ, il quale è codificato in cis nei soggetti DR3 ed in trans nei soggetti DR5/DR7.

Il diabete Mellito di tipo I è una malattia autoimmune dovuta alla distruzione delle beta cellule del pancreas ad opera di cellule del sistema immunitario (linfociti T). Le cellule beta del pancreas sono deputate alla produzione di insulina, un ormone che regola l’ingresso e l’utilizzazione del glucosio all’interno delle cellule dell’organismo. La distruzione del patrimonio beta cellulare del pancreas è irreversibile per cui il paziente deve assumere insulina per riuscire a metabolizzare gli zuccheri.

Studi sull’associazione fra diabete mellito di tipo I ed antigeni HLA nella popolazione ed anche sulla segregazione degli alleli HLA nelle famiglie con individui affetti, hanno messo in luce una significativa correlazione con gli alleli HLA di classe II DR3 e DR4: circa il 90% di pazienti diabetici possiede l’uno o l’altro di questi antigeni, mentre il 40 % circa possiede entrambi. Indagini successive sul DNA hanno però rilevato come questa malattia sia associata ad un particolare allele del locus DQ molto di più di quanto lo sia a DR3 e DR4. Generalmente le molecole DQ hanno nella catena beta alla posizione 57 un acido aspartico (Asp). Le molecole DQ beta dei soggetti affetti hanno nella stessa posizione un residuo amminoacidico diverso (non-Asp). Il residuo 57 si trova nella tasca della molecola HLA, nella quale l’antigene entra e si lega alla molecola stessa: una variazione di questa importante zona potrebbe determinare un ridotta capacità di legare e “presentare” antigeni, anche autologhi, nella fase della selezione clonale e perciò predisporre allo sviluppo della malattia. Il nostro laboratorio va a ricercare proprio questi tipi di mutazione genica, oltre a DR3 e DR4.

L’emocromatosi ereditaria è una malattia autosomica recessiva a tarda insorgenza (periodo pre-sintomatico di oltre 40 anni) determinata da un alto assorbimento di ferro da parte della mucosa gastrointestinale che porta ad un deposito eccesivo del ferro nelle cellule parenchimali del fegato, del cuore, del pancreas e di altri organi, provocando danno cellulare e tessutale, fibrosi ed insufficienza funzionale. I sintomi clinici includono cirrosi epatica, diabete, cardiopatia, ipogonadismo, artrite e suscettibilità all’epatocarcinoma.

HFE è il gene responsabile dell’Emocromatosi (EC). HFE contiene l’informazione per la produzione di una proteina importante nella regolazione dell’assorbimento del ferro, anche se la sua funzione esatta è ancora in corso di studio. Nelle persone affette da Emocromatosi questo gene contiene delle modifiche (mutazioni) che ne alterano la funzione. Due mutazioni principali sono state identificate in questo gene e denominate con le sigle C282Y e H63D(queste sigle indicano in modo più specifico il tipo di alterazione, ad esmpio C282Y significa che è mutato l’amminoacido in posizione 282). La maggioranza dei pazienti affetti da EC (dal 64 al 95% a seconda delle popolazioni esaminate) ha ereditato da entrambi i genitori la mutazione C282Y e quindi possiede questa mutazione in entrambe le copie del cromosoma 6. Un numero inferiore di persone affette ha invece una mutazione C282Y in un cromosoma 6 e una mutazione H63D nell’altro; queste persone hanno quindi ereditato mutazioni diverse da ciascuno dei genitori. Infine alcune persone possiedono due copie del cromosoma 6 con la mutazione H63D, che in genere non determina un sovraccarico di ferro a meno che non siano presenti altre cause, come un’eccessiva assunzione di alcol, un’anemia emolitica concomitante, un trattamento prolungato con ferro.

L’emofilia è una malattia emorragica ereditaria dovuta ad un difetto nella coagulazione del sangue. Durante tale processo si ha l’attivazione di numerose proteine del plasma attraverso una serie di reazioni a catena; nelle persone affette da emofilia una di queste proteine, generalmente prodotte dal fegato, è difettosa (deficit qualitativo o quantitativo). Il difetto del Fattore VIII della coagulazione provoca l’Emofilia A, mentre il difetto del Fattore IX provoca l’Emofilia B.

I soggetti emofiliaci sono predisposti alle emorragie, la cui frequenza e gravità essenzialmente dipendono dalla quantità e dall’attività coagulativa del fattore residuo nel sangue. Secondo il livello dell’attività coagulativa del sangue, l’emofilia può essere classificata clinicamente in:

  • Grave : < 1% Fattore IX
  • Moderata : 1% – 5% Fattore IX
  • Lieve : > 5% – 30% Fattore IX

Le donne portatrici, in genere, non hanno problemi di salute o sintomi. Queste donne sono definite come portatrici asintomatiche. Altre portatrici hanno livelli di fattori della coagulazione bassi e problemi emorragici. Queste portatrici sintomatiche possono presentare un flusso mestruale abbondante o di lunga durata, ecchimosi, epistassi, sanguinamento eccessivo dopo piccoli interventi chirurgici come estrazioni dentarie o emorragie durante o dopo il parto.

Analisi genetica. L’emofilia A e B sono trasmesse secondo modalità legate al sesso, poichè i geni difettosi sono localizzati sul cromosoma X. Le donne hanno 2 cromoxomi X e, praticamente, anche se hanno ereditato un cromosoma emofiliaco da un genitore, sono protette dal cromosoma normale, che riesce a produrre una quantità di fattore coagulativo sufficiente per una normale emostasi. Nelle donne quindi l’emofilia è molto rara e può presentarsi in caso di figlie nate da un padre emofiliaco ed una madre portatrice o in altre condizioni eccezionali. I maschi hanno un solo cromosoma Y e, quando ereditano un cromosoma X emofiliaco dalla madre portatrice, potranno avere una malattia clinicamente più o meno grave. Portatrice quindi significa che la donna possiede il gene emofiliaco anomalo e lo può trasmettere ai figli ma è clinicamente asintomatica. Nel 30% dei casi circa, i cosiddetti “casi sporadici”, si tratta di una mutazione genica “de novo”, in quanto è una mutazione di nuova formazione che si è verificata in un gamete, in questo caso quello materno.

L’emofilia può essere causata da diverse mutazioni che possono coinvolgere qualsiasi parte del gene. Tali mutazioni sono più spesso costituite da sostituzioni di una singola base (mutazioni puntiformi), piccole delezioni o inserzioni a carico del gene con conseguenti anomalie qualitative e/o quantitative del fattore, alle quali corrisponde una notevole variabilità del quadro clinico. Le mutazioni riscontrate negli individui malati mostrano una notevole eterogeneità nella popolazione (non c’è un gruppo di mutazioni più frequenti), ma c’è una certa concordanza genotipo/fenotipo (vale a dire che conoscendo il tipo di mutazione si può predire in una certa misura la gravità del quadro clinico del soggetto malato). Le mutazioni che individuiamo nel nostro test sono quelle identificate più comunemente nella popolazione italiana, presenti negli esoni 1, 2, 6 e 8. (D. Belvini et al.: Haematologica 2005;90 [5]:635-642).

 -26G→T

-20T→C 

-5A→T 

T88C 

  107/110 delTGAA

T111C 

G112A 

A116G 

  118/121 delTGAA

  G122A

  G122C

  T6320G

  C6347A

  C6364T

  G365A

  G6372C

  T6392C

  A6395G

  T6400A

  G6410A

  G6410C

  6422/25 delGAGA

  T6442C

  T6449G

 C6460T

  G6461A

  G6463C

  G6472A

  G6472C

  C6488T

  G6494A

  G6494T

  G6494C

  G20375A

  C20413T

  G20414A

  G20414T

  G20464T

  C20518T

  G20519A

  G20530A

  G20549A

  G20562A

  C20563T

  30852DdelC

  G30854A

  A30855G

  C30863T

  G30864A

  T30870A

  C30875T

  A30897G

  C30919G

  C30973A

  G30987A

  A31007G

  C31008T

  A31023T

  G31028T

  G31035T

  T31049T

  G31053A

  A31055G

  31071/9 delGGAGATCAG insA

  C31080G

  C31088T

  C31091T

  G31103T

  C31118G

  C31118T

 

 

  G31119A

  G31119C

  G31128A

  C31103T

  T31152A

  31161/3 delACA

  T31164G

  G31203A

  T31213G

  G31220A

  C31223A

  C31224A

  C31260T

 

 

 

  G31262A

  G31263A

  G31280A

  C31290T

  T31344A

  31355delA

 

 

La fibrosi cistica è la malattia genetica più frequente nella popolazione caucasica con un bambino nato malato ogni 2500-2700 nati vivi.

Questa patologia è causata da mutazioni nel gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane conductance Regulator) che svolge funzione di canale ionico. Nei soggetti in cui il gene CFTR è mutato, le secrezioni saline sono più dense e viscose, creando danno a livello di vari tessuti e organi. In tali organi le secrezioni mucose determinano un’ostruzione dei dotti principali, provocando l’insorgenza di gran parte delle manifestazioni cliniche tipiche della malattia, come la comparsa di infezioni polmonari ricorrenti, insufficienza pancreatica, steatorrea (eccessiva presenza di grasso nelle feci, spia di un malassorbimento intestinale), stati di malnutrizione, cirrosi epatica, ostruzione intestinale ed infertilità maschile. Anche a livello delle ghiandole sudoripare il riassorbimento di ioni sodio e cloro è compromesso e i soggetti malati eliminano grandi quantità di NaCl nel sudore. Nella maggior parte dei casi la diagnosi viene effettuata in base al fenotipo clinico e confermata dal Test del sudore positivo, che è ancora l’esame “gold standard” per la diagnosi della Fibrosi Cistica.

La Fibrosi cistica è trasmessa con modalità autosomica recessiva (negli individui malati entrambe le copie del gene devono essere mutate, vale a dire che l’individuo deve ereditare una mutazione dal padre e una dalla madre per presentare i sintomi clinici) e la frequenza dei portatori sani (cioè degli individui che hanno solo una copia mutata mentre l’altra è normale) è di 1:25. I portatori di una sola copia di geni mutati sono asintomatici, pertanto il test genetico è l’unico modo per individuare tale stato all’interno di una famiglia. Inoltre l’analisi genetica può supportare la diagnosi clinica in tutti i casi in cui il test del sudore è negativo ma sono presenti consistenti evidenze cliniche (CF atipica e/o Cf – related disorders).

Il gene che codifica la proteina CFTR è localizzato sul cromosoma 7 ed è composto da 27 esoni. Nei pazienti affetti da fibrosi cistica il gene è mutato e quindi la proteina CFTR viene prodotta in quantità ridotte o risulta non funzionale. Ad oggi sono state identificate più di 1500 mutazioni; alcune sono diffuse ubiquitariamente, mentre altre sono specifiche di alcuni ambiti etnico-geografici. Sono stati quindi formulati dei pannelli diagnostici (Pannello standard a 36 mutazioni per lo screening di routine, Pannello di 65 mutazioni, Pannello esteso di 200 mutazioni) che tengono conto della frequenza e della distribuzione di determinate mutazioni in una particolare area geografica. La scelta del tipo di analisi più appropriata dipende dalla storia familiare e dalle motivazioni per le quali viene eseguito il test e dovrebbe essere raccomandata dal genetista. Per ampliare il livello di sensibilità dei test che proponiamo, nel nostro laboratorio effettuaiamo anche l’Analisi dei riarrangiamenti intragenici (larghe delezioni), che nel loro insieme si presentano con una frequenza di circa il 3% nei malati di fibrosi cistica, e un’analisi approfondita del Polimorfismo IVS8 (a livello dell’introne 8). E’ stato infatti descritto che la variante polimorfica 5T (presente con una frequenza del 5% circa nella popolazione caucasica) se associata al polimorfismo 12 o 13 (TG), riduce l’appropriata sintesi della proteina CFTR e si comporta quindi come una mutazione. Il nostro test permette di valutare se la variante 5T è adiacente al polimorfismo 12 / 13 (TG), poichè l’ereditarietà per questa variante è associata ad un aumentato rischio di manifestare CF-related disorders (CBAVD, azoospermia ostruttiva, bronchiettasie disseminate, panbronchioliti diffuse, enfisema polmonare, pancreatiti croniche, ecc…).

In ogni caso, anche il test di screening più esteso e completo non è in grado di escludere la presenza della mutazione in maniera assoluta (al 100%), poichè qualsiasi approccio tecnico venga impiegato non è possibile identificare le mutazioni negli elementi regolatori che si trovano distanti dal gene o nelle porzioni non-codificanti. Al momento, con l’analisi di mutazione più accurata (pannello esteso di 200 mutazioni e analisi dei riarrangiamenti genici) è possibile arrivare ad una precisione pari al 93% circa.

Il test può essere eseguito su prelievo di sangue periferico, spot ematico, tampone buccale, ma anche su liquido amniotico e prelievo di villi coriali. In quest’ultimo caso è richiesto un prelievo di sangue materno per escludere la possibilità di contaminazione con il genotipo materno.



La policitemia vera o malattia di Vaquez è una malattia della cellula staminale emopoietica (cioè la cellula del midollo da cui derivano tutte le cellule mature che circolano nel sangue: globuli rossi o eritrociti, globuli bianchi o leucociti e piastrine).E’ caratterizzata da una proliferazione persistente ed incontrollata della linea eritropoietica ed in minor misura di quella piastrinopoietica e granulocitopoietica. E’ una malattia clonale in quanto gli elementi delle tre serie maturative midollari derivano tutte da una stessa cellula progenitrice emopoietica la quale ha acquisito una mutazione genetica ad impronta proliferativa.

La storia naturale della malattia, in assenza di trattamento, è caratterizzata da un progressivo aumento della massa eritrocitaria cui si associa un aumentato rischio di complicanze trombotiche o emorragiche. E’ possibile una evoluzione tardiva in mielofibrosi o in leucemia acuta. In Europa l’incidenza della policitemia vera è di circa 2-3 casi per 100.000 abitanti per anno.

I quesiti biologici sull’origine di tale malattia sono rimasti irrisolti per lungo tempo ma hanno trovato risposta nel 2005, quando è stata identificata la presenza di una mutazione somatica del gene Janus Kinase 2 (JAK2); da tale mutazione ne consegue un’aumentata attività della proteina tirosin-chinasica JAK2.

Per molti fattori di crescita (eritropoietina, trombopoietina,ecc…) la fosforilazione di residui tirosinici è cruciale nella trasduzione del segnale (il passaggio dell’informazione dall’esterno della cellula all’interno del nucleo tramite il citoplasma). Eritropoietina e trombopoietina, dopo esseresi legate al recettore di membrana, utilizzano un sistema di chinasi, tra cui la proteina JAK2, per la traduzione del segnale nel nucleo. La mutazione V617F del gene JAK2 determina un aumento dell’attività della proteina JAK2 con eccessiva traduzione del segnale e quindi determina la malattia mieloproliferativa. La mutazione JAK2 V617F è presente nella grande maggioranza dei pazienti affetti da policitemia vera (90-95%). Lo studio della mutazione, che effettuaiamo nel nostro laboratorio, oltre a spiegare la malattia, è diventato un utile parametro diagnostico; infatti la valutazione della mutazione è stata introdotta nella nuova proposta di classificazione per le malattie mieloproliferative croniche WHO (World Health Organization).

Nei Paesi occidentali le malattie cardiovascolari sono ancora la prima causa di morte e una delle principali cause di invalidità. Morte o invalidità sono dovute alla comparsa di un evento che può interessare il cuore (per la precisione il circolo coronarico) o il cervello, determinando rispettivamente un infarto o un ictus.

Tra le principali cause e/o fattori di rischio un ruolo di primaria importanza lo giocano l’età, il sesso maschile, il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia, il fumo e lo stress, ma la chiara ricorrenza di queste patologie nella storia familiare degli individui (Ereditarietà) indica anche una chiara predisposizione genetica allo sviluppo di tutte le malattie caratterizzate dalla tendenza a soffrire di episodi trombotici. Negli ultimi anni, quindi, è sorta la necessità di identificare eventuali marcatori genetici di rischio cardiovascolare allo scopo di permettere lo sviluppo di nuove misure preventive e terapeutiche.

I geni, oggi noti, di suscettibilità agli eventi cardiovascolari presentano delle modifiche con una tale frequenza nella popolazione da essere considerate delle varianti polimorfiche. Ancora oggi non sono completamente conosciuti tutti i geni che determinano un aumentato rischio di malattia cardiaca ed è difficile “quantificare” il rischio relativo per i singoli polimorfismi che, insieme a fattori ambientali esterni, può migliorare la capacità predittiva del calcolo del rischio cardiovascolare.

Nel nostro laboratorio è possibile ricercare le mutazioni a livello dei seguenti geni:

►  ACE (Enzima Angiotensinogeno convertente)

A livello dell’introne 16 del gene ACE è presente un polimorfismo del tipo Inserzione/Delezione (I/D). Tale polimorfismo è dovuto alla presenza (allele I – Insertion) o assenza (allele D – Deletion) di una sequenza ripetuta Alu di 287 bp e può produrre tre differenti genotipi:

  1. II = Inserzione in omozigosi
  2. ID = Eterozigosi per Inserzione/Delezione
  3. DD = Delezione in omozigosi

Differenti studi hanno associato il genotipo DD con un incremento del rischio di patologie vascolari a causa di un conseguente aumento dei livelli plasmatici di ACE (doppi rispetto ai soggetti con genotipo II).

►  AGT (Angiotensinogeno)

Il gene AGT controlla la produzione di angiotensinogeno, una proteina che svolge un ruolo determinante nel sistema renina-angiotensina (RAS); tale sistema regola la pressione arteriosa e quindi la funzionalità cardiaca. In alcune persone il RAS è iperattivo e quindi provoca problemi al cuore e pressione arteriosa alta.

L’alterazione (mutazione) di una regione specifica del gene AGT è associata ad un elevato rischio di insorgenza di patologie cardiovascolari e di alcune forme di ipertensione.  Il gene AGT, in una determinata regione, presenta due varianti (polimorfismo), denominate T edM. Quando è presente la variante T, l’aminoacido metionina è sostituita dall’aminoacido treonina nella posizione 235 del polipeptide angiotensinogeno, da cui la designazione M235T. Poichè ogni individuo eredita una copia del gene da ciascun genitore, egli potrà presentare due copie della variante T (individuo T/T omozigote), una copia di ciascuna delle due varianti (individuo T/M eterozigote) oppure due copie della variante M (individuo M/M omozigote).

La forma T235 del gene (cioè la presenza dell’aminoacido treonina) è associata ad un incremento del rischio di patologie a carico delle arterie cardiache e ad alcune forme di ipertensione: il test molecolare assume quindi un’importanza fondamentale nella diagnosi precoce delle malattie cardiovascolari.

Diversi studi hanno dimostrato che pazienti che presentano una forma alterata del gene AGT (genotipo T/T) hanno un rischio circa 3 volte maggiore di sviluppare patologie cardiovascolari, quali coronopatie, infarti miocardici, arteriosclerosi e cardiomiopatie ipertrofiche rispetto ai pazienti con il gene normale.

Il test molecolare inoltre identifica i soggetti che presentano una forma di ipertensione sodio-sensibile (pazienti con genotipo T/T). Questi pazienti possono quindi trarre notevoli benefici dall’applicazione di una strategia terapeutica che riduce l’apporto di sodio nella dieta, raggiungendo una significativa diminuizione della pressione arteriosa senza la necessità di ricorrere ad una terapia farmacologica. L’analisi del gene AGT può inoltre aiutare i medici ad individuare una adeguata terapia da adottare prevedendo la risposta dei pazienti ai trattamenti terapeutici con agenti antiipertensivi. Nei pazienti che presentano un genotipo T/T e T/M, a differenza di quelli con genotipo M/M, si osserva infatti un’evidente riduzione della pressione del sangue, sia sistolica che diastolica, in risposta all’uso di ACE-inibitori.

►  APOB (Apoliproteina B)

Le apolipoproteine sono delle proteine appartenenti ai complessi VLDL e LDL (Very Low Density Lipoproteins e Low Density Lipoproteins) e sono responsabili della solubilità dei lipidi nel sangue e del loro riassorbimento nelle cellule. In particolare, l’Apolipoproteina B-100 (Apo B-1000) è necessaria per la solubilità ed il riassorbimento del colesterolo. Il complesso Apo B-100-colesterolo viene riconosciuto dai recettori di membrana LDL e quindi riassorbito nelle cellule. Il gene che codifica l’Apo B-100 è soggetto a polimorfismi, tra i quali il più frequente (R3500Q) provoca una diminuizione dell’affinità del legame Apo B-100 – recettore LDL di membrana. L’Apo B-100 mutata resta libera nel sangue causando un’ipercolesterolemia ed un aumento del rischio di formazione di placche ostruttive.

La mutazione R3500Q inoltre è un importante fattore di rischio per lo sviluppo dell’arteriosclerosi precoce e delle deficienze coronariche arteriose (coronary artery disease, CAD). E’ stato dimostrato che il 3,5% dei casi di ipercolesterolemia ha come causa principale una mutazione sul gene Apo B-100. Questo tipo di mutazione è riconosciuta clinicamente anche come Familial Defective apolipoprotein B-100 (FDB). Studi su pazienti con FDB hanno dimostrato che il loro livello di colesterolo è mediamente di 8 mmol/l, mentre il valore normale è minore di 5,2 mmol/l.

La mutazione di questo gene, che si trova sul cromosoma 2, provoca nella proteina una sostituzione dell’aminoacido Arginina con una Glutamina in posizione 3500 (R3500Q); questo scambio fra aminoacidi ha come conseguenza un cambiamento della conformazione della struttura terziaria dell’Apo B-100, nella zona di riconoscimento per il recettore LDL. La diminuzione di affinità fra Apo B-100 e recettore LDL può essere superiore al 20% nei pazienti omozigoti. La prevalenza di questa mutazione nella popolazione caucasica varia da 1:700 a 1:500. Soria (1989) Proc Natl Acad Sci U S A 86,587

►  APOE (Apolipoproteina E)

Il gene Apoliproteina E (APOE) è situato sul cromosoma 19 e codifica per l’Apolipoproteina E (APOE), una proteina plasmatica, coinvolta nel trasporto del colesterolo, che si lega alla proteina amiloide e della quale esistono tre diverse forme: APOE2, APOE3 ed APOE4, codificate da tre diversi alleli (E2, E3 ed E4). Le apolipoproteine svolgono un ruolo fondamentale nel catabolismo delle lipoproteine ricche di trigliceridi e colesterolo.

L’APOE è stato uno dei primi marcatori genetici ad essere studiato come fattore di rischio per l’infarto del miocardio e studi effettuati su un’ampia popolazione di pazienti e relativo gruppo di controllo hanno confermato che i portatori dell’allele E4 presentano livelli più elevati di colesterolo totale e LDL e, quindi, hanno un rischio maggiore di patologie cardiovascolari. Recenti studi clinici hanno dimostrato che l’allele 4 (APOE4) è più frequente nelle persone affette da malattia di Alzheimer rispetto a quelle sane. La presenza del genotipo APOE4, anche in eterozigosi, determinerebbe un aumento di circa 3 volte del rischio di sviluppare la malattia nelle forme ad esordio tardivo, familiari e sporadiche.

►  CETP (Cholesteryl ester transfer protein)

Il CETP è coinvolto nel metabolismo dei lipidi mediante il trasferimento di esteri del colestorolo dalle HDL alle lipoproteine ricche di trigliceridi, con conseguente riduzione dei livelli di HDL. Il polimorfismo dell’introne 1 del gene CETP G279A aumenta le concentrazioni del CETP e riduce i livelli di HDL a favore di LDL e VLDL. Altri due polimorfismi, G153A, localizzato nell’esone 15, eI405V, localizzato nell’esone 14 del gene CETP, sono anch’essi associati ad una aumentata attività plasmatica della proteina. Ridotti livelli di HDL sono associati ad un rischio di patologie cardiovascolari.

►  CYP7A1 (Colesterolo 7-alfa idrossilasi)

Il gene CYP7A1 codifica per la colesterolo 7α-idrossilasi, un enzima fondamentale nel metabolismo del colesterolo, in quanto catalizza il primo step nella biosintesi degli acidi biliari; una maggiore attività dell’enzima CYP7A1 si correla con minori livelli di colesterolo plasmatico. Il polimorfismo A-204C (in posizione -204 dal sito di inizio della trascrizione e -278 dal sito di inizio della traduzione), trovandosi nella regione del promotore del gene, si pensa possa modulare la trascrizione del gene CYP7A1 e, di conseguenza, l’indice del catabolismo del colesterolo. In particolare, il genotipo -204AA è associato con un’attività più alta dell’enzima rispetto al genotipo -204CC.

La Sindrome di Martin-Bell o del Cromosoma X fragile (FRAX) è la forma più comune di ritardo mentale dopo la Sindrome di Down, in quanto interessa 1:1250 maschi e 1:1200 femmine. Si tratta di una malattia ereditaria causata dall’alterazione di un gene situato nel cromosoma X. Il nome “X fragile” deriva dal fatto che queste alterazioni provocano delle modifiche nella struttura del cromosoma, che al microscopio presenta una strozzatura in un punto preciso (quello in cui è situato il gene). La FRAX colpisce molto più frequentemente i maschi rispetto alle femmine, dato che queste ultime possiedono 2 copie del cromosoma X.

Nel 1991 è stato identificato un gene chiamato FMR1 (Fragile X Mental Retardation-1) situato sul braccio lungo del cromosoma X, di cui ancora non è chiara la funzione. E’ noto però che nella maggior parte dei casi di FRAX l’alterazione responsabile della sindrome è l’espansione, attraverso le generazioni, di un tratto di DNA di questo gene (sito fragile FRAXA), composto da tre basi nucleotidiche ripetute (CGG). Mentre nelle persone normali queste basi sono ripetute in un numero variabile da 6 a 45 volte, nelle persone malate sono ripetute più di 200 volte. Questa espansione, insieme ad altri fenomeni, prova il mancato funzionamento del gene FMR1 e si chiama mutazione completa. Quasi tutti i maschi con mutazione completa presentano i sintomi della malattia, mentre circa la metà delle femmine presentano ritardo mentale di grado variabile (da lieve a grave) e tratti fisici caratteristici. Alcune persone possiedono un numero di ripetizioni intermedie all’interno del gene (da 50 a 200) che non provocano alcun effetto. Questa alterazione intermedia è detta pre-mutazione e gli individui che la possiedono sono portatori sani, perchè nelle generazioni successive le ripetizioni possono aumentare e causare la mutazione completa.

Con il nostro test sul DNA è possibile individuare sia la premutazione sia la mutazione completa attraverso indagini di genetica molecolare, che permettono un’identificazione accurata dei soggetti affetti e dei portatori. Grazie a questa analisi molecolare è possibile individuare le famiglie a rischio ed avere un’adeguata consulenza genetica ed inoltre l’indagine prenatale, eseguibile fin dal primo trimestre di gravidanza sul liquido amniotico, consente di stabilire se il feto ha ereditato l’alterazione genetica.

L’ipoacusia è una malattia molto frequente ed estremamente eterogenea. Nella popolazione generale la sua prevalenza aumenta con l’età: lo 0,1% dei bambini presenta problemi all’udito così come il 4% degli adulti e il 10% della popolazione con età superiore ai 60 anni. Nei Paesi occidentali il 60% dei casi di sordità è legato a fattori genetici ed il 40% a cause ambientali come infezioni durante la gravidanza, traumi, utilizzo di farmaci ototossici o altre patologie. Le forme di sordità ereditaria non sindromica si presentano con un’ampia eterogeneità genetica e diverse modalità di trasmissione: autosomica recessiva in circa il 75% dei casi,autosomica dominante nel 20%, X-linked nel 5% ed inferiore all’1% quelle di tipomitocondriale.

Si ritiene che più di un centinaio di geni possano essere coinvolti nelle forme ereditarie non sindromiche di sordità; molti di essi non sono stati ancora identificati. Le forme più diffuse di sordità ereditaria (circa l’80%) hanno una modalità di trasmissione autosomica recessiva e sono in gran parte dovute a mutazioni dei geni (GJB2 e GJB6), che codificano per varie esponenti della famiglia delle connessine, rispettivamente connessina 26 (cx26) e connessina 30(cx30), proteine tutte trovate a livello dell’Organo di Corti. L’organo di Corti è situato nell’orecchio interno, precisamente nel dotto cocleare è rappresenta l’organo di senso dell’udito. Le cellule ciliate esterne ed interne trasformano l’energia vibrazionale in energia nervosa trasmessa al cervello tramite l’VIII nervo cranico.

Le mutazioni più frequenti coinvolgono il gene GJB2 che codifica per la cx26. La mutazione più comune nella connessina 26 è la 35delG, responsabile di un prematuro stop della sintesi della connessina. Si è visto che in molti casi in cui viene identificata una mutazione nel gene GJB2 su un solo allele (eterozigoti) si riscontra una situazione digenica in cui oltre al gene GJB2 viene implicato il gene GJB6.

Nel nostro laboratorio effettuaiamo l’indagine genetica mediante il sequenziamento dell’intera regione codificante del gene GJB2 e l’analisi delle regioni delete del gene GJB6.

Le Talassemie son un gruppo didisturbi ereditari dovuti ad alterazioni nella sintesi dei componenti di una molecola chiamata emoglobina. L’emoglobina è una grossa proteina contenuta nei globuli rossi, la cui funzione è quella di catturare l’ossigeno dai polmoni e trasportarlo nei diversi tessuti. L’emoglobina raccoglie anche l’anidride carbonica prodotta nei tessuti e la trasporta ai polmoni dove viene eliminata. La proteina dell’emoglobina (HbA) è costituita a sua volta da 4 catene proteiche più piccole (sub-unità). Negli adulti ogni molecola di emoglobina contiene due subunità Alfa e due subunità Beta. Nel feto è presente un altro tipo di emoglobina, l’Emoglobina Fetale, che è formata da una subunità Alfa e da due subunità Gamma. Le 4 subunità di globulina racchiudono ciascuna, in una gabbia di aminoacidici idrofobici, una molecola molto piccola, la cui funzione è quella di legare l’anidride carbonica o l’ossigeno: il Gruppo Eme.

L’Alfa Talassemia è una malattia ereditaria causata dalla produzione difettosa o assente delle subunità alfa dell’Emoglobina. Come conseguenza nell’età adulta si ha un accumulo di catene beta, mentre nei neonati si ha un accumulo di catene gamma; tale accumulo porta alla formazione di emoglobine patologiche: Emoglobina H nell’adulto (formata da 4 catene beta) ed Emoglobina di Bart nel neonatoto (formata da 4 catene gamma).

N’ell’uomo esistono 4 geni localizzati sul cromosoma 16, che contengono l’informazione genetica per la produzione delle subunità alfa. Gli individui normali hanno 4 copie intatte del gene (2 copie situate sul cromosoma di origine paterna e 2 sul cromosoma di orine materna) e si indicano con aa/aa. I portatori e i malati di talassemia alfa hanno invece un’alterazione in una o più copie del gene.

Si distinguono 4 condizioni cliniche di diversa gravità, a seconda del genotipo rilevato:

  1. Portatori Silenti: hanno un’alterazione in una sola copia del gene alfa-globinico e si indicano con -a/aa. Tali individui non mostrano nessun sintomo da adulti e solo alla nascita presentano una minima quota di Emoglobina di Bart (1-2%).
  2. Portatori Classici: possiedono due geni alfa-globinici alterati e si indicano con -a/-aoppure –/aa, a seconda che i geni alterati si trovino sullo stesso cromosoma o sui due cromosomi omologhi. In questi individui al momento della nascita sono presentiti quantità elevate di Emoglobina di Bart (5-6%).
  3. Malattia da Emoglobina H: è dovuta all’alterazione di almeno 3 delle 4 copie dei geni alfa-globinici. Questi individui si indicano con –/-a. Clinicamente si ha una lieve anemia con microcitosi, ingrossamento della milza e modeste alterazioni ossee simili aquelle della Beta Talassemia. Dei microscopici aggregati di Emoglobina H, detti corpi inclusi, sono presenti nella gran parte dei globuli rossi di questi pazienti.
  4. Mancanza totale dei geni alfa-globinici: causa una grave condizione chiamataidrope fetale (–/–), spesso letale per il feto durante la gravidanza o subito dopo la nascita.

Nel nostro laboratorio effettuaiamo uno screening genetico che consente sia di individuare gli individui portatori adulti sia eventuali mutazioni nella fase pre-natale. Le Alfa Talassemie possono essere causate sia da delezioni corte, che eliminano un solo gene Alfa, sia da delezioni lunghe, che eliminano 2 geni. Tra le delezioni corte, quelle che noi andiamo ad indagare sono l’Alfa 3,7 e l’Alfa 4,2; tra le delezioni lunghe l’Alfa 20,5 e l’Alfa Mediterranea.

La beta talassemia è caratterizzata dal deficit (B+) o dall’assenza (B0) della sintesi delle catene della beta-globina che codificano per la proteina dell’emoglobina (Hb). Sono stati descritti tre tipi di β-talassemia:

  1. La Talassemia Minore è la forma eterozigote, di solito asintomatica.
  2. La Talassemia Maggiore (o anemia di Cooley) è la forma omozigote, che si associa ad anemia microcitica e ipocromica, dovuta a diseritropoiesi ed emolisi. E’ presente anche splenomegalia. L’esordio avviene tra i 6-24 mesi di vita.
  3. La Talassemia Intermedia raggruppa insieme circa il 10% delle forme omozigoti della malattia e numerose forme eterozigoti composte. Nella forma intermedia l’anemia è variabile, ma è meno grave e viene diagnosticata più tardi rispotto al morbo di Cooley.

La diagnosi di β-talassemia si basa sull’analisi dell’Hb con elettroforesi o HPLC. Nella β-talassemia maggiore l’HbA è assente o molto ridotta e l’HbF è predominante. Nella β-talassemia minore i livelli di HbA2 sono aumentati e i livelli di Hb sono di solito normali con pseudopolicitemia ipocromica e microcitica.

Il gene per la β-globina si trova sul cromosoma 11 e ad oggi sono state identificate circa 200 mutazioni responsabili della malattia (B+ o B0). La trasmissione è autosomica recessiva, vale a dire che la forma più grave (la β-talassemia major) si manifesta solo in bambini che abbiano entrambi i genitori eterozigoti. Con l’analisi genetica è possibile identificare gli individui eterozigoti, anche se non presentano alcun sintomo. Di seguito sono indicate le mutazioni più comuni che vengono analizzate con il nostro test. La consulenza genetica è raccomandata per caratterizzare la mutazione, programmare la presa in carico dei bambini affetti ed eventualmente per la diagnosi pre-natale.

-101 (C>T)

-87 (C>T) 

Codone6 (-A)

HbS 

HbC 

IVS1-1 (G>A) 

IVS1-6 (T>C)

IVS1-110 (G>A)

Codone 39 (C>T) 

IVS2-1 (G>A) 

IVS2-745 (C>G) 

-87 (C>G) 

-88 (C>T)

-30 (T>A) 

-29 (A>G) 

-28 (A>G) 

Initiation codon (ATG) 

Codone5(-CT)

Codone 8 (-AA)

Codone8/9 (+G) 

IVS1-5 (G>C)

Codone 15 (G>A) 

Codone17 (-A>T) 

Codone 41/42(-TTCT)

Problemi di infertilità riguardano circa il 15% delle coppie in età riproduttiva e, nel 50% dei casi, è a carico del partner maschile. Negli ultimi anni è stato dimostrato che il 5-10% dei casi di oligo/azoospermia è imputabile a problemi genetici.

L’analisi genetica ha portato all’identificazione di microdelezioni di geni localizzati nei loci non polimorfici del gene AZF (Azoospermia Factor a,b,c), presenti in numero variabile e denominati STS (Sequenze Tagget Sites).

Attualmente, con lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare, è possibile dimostrare la presenza in pazienti oligo-azospermici di microdelezioni del Cromosoma Y così piccole da non poter essere rilevate da un esame classico del cariotipo. Ciò riveste una particolare importanza soprattutto in quelle coppie che si affacciano alla procreazione assistita per conoscere con più precisione la possibilità di trasmettere ad un figlio lo stesso problema di sterilità del padre.

Il test che effettuaiamo per la ricerca delle Microdelezioni del Cromosoma Y consente di valutare se eventi di delezione hanno eliminato sequenze normalmente presenti sul Cromosoma Y e coinvolte nella regolazione della spermatogenesi nell’uomo.



Le trombofilie ereditarie (predisposizione genetica alla trombosi) sono un gruppo di patologie caratterizzate dalla tendenza a soffrire di episodi trombotici. Si ha un evento trombotico, venoso o arterioso, quando il sangue (anche in piccole quantità) si coagula all’interno di un vaso sanguigno, aderisce alla sua parete e lo ostruisce in maniera parziale o completa, impedendo il flusso del sangue. Il coagulo prende il nome di trombo.

Nella maggior parte dei casi si tratta di difetti o alterazioni di uno o più fattori della coagulazione del sangue. La coagulazione è un processo molto complesso che prevede l’intervento in successione di molti fattori (proteine) diversi. Si tratta di un evento a cascata, una specie di reazione a catena. I geni, oggi noti, di suscettibilità alla trombosi sono delle varianti geniche (mutazioni puntiformi ad un singolo nucleotide) che presentano una tale frequenza nella popolazione da essere considerate delle varianti polimorfiche.

I geni in considerazione sono quelli relativi al Fattore V di Leiden, al Fattore II della coagulazione (Protrombina) ed il gene MTHFR (Metilentetraidrofolatoreduttasi).

Altri geni sono stati associati a stati trombotici, tra i quali:

►  Fattore XIII

Uno stato di omozigosi per un particolare polimorfismo del gene del Fattore XIII, consistente in transizione G->T a livello dell’esone 2 del gene, con conseguente variazione aminoacidica leucina-> valina a livello del codone 34, che è molto prossimo al sito di attivazione della trombina, è stata associata ad un aumento elevato dell’attività di questo enzima. La presenza di tale mutazione (V34L) in omozigosi, quindi, rappresenterebbe un fattore protettivo contro trombosi venose.

►  Beta Fibrinogeno

Un polimorfismo presente nella regione promotore del gene del Beta Fibrinogeno (FGB), consistente in una transizione G->A in posizione -455 (-455G-A), è associato a livelli plasmatici elevati di Fibrinogeno.

►  PAI-1

L’Inibitore dell’Attivatore del Plasminogeno di tipo 1 (PAI-1) rappresenta il principale inibitore del processo di attivazione del plasminogeno nel sangue. E’ noto che esso contribuisce alla formazione del trombo e, conseguentemente, all’insorgenza e allo sviluppo di patologie cardiovascolari sia acute che croniche.

A livello della regione promotore del gene PAI-1 è presente un polimorfismo del tipo inserzione/delezione di una G (4G/5G). Alcuni studi hanno dimostrato che il genotipo 4G/5G è associato a livelli plasmatici elevati di PAI-1 con conseguente rischio di malattie coronariche e, nelle donne in gravidanza, aumentato rischio di preeclampsia.

►  HPA

La genotipizzazione dello Human Platelet Alloantigens (HPA) permette di distinguere le due forme alleliche Pl (A1) e Pl (A2) determinate dal polimorfismo Leu33Pro, consistente in una variazione nucleotidica da T (A1) a C (A2) in posizione 1565, esone 2 del gene ITGB3, con conseguente variazione aminoacidica Leu-> Pro a livello del codone 33.

Differenti studi hanno associato la presenza di almeno un allele Pl (A2) a stati di ipercoagulazione con conseguenti complicanze trombotiche venose.

►  CBS

La CBS (Cistationina Beta Sintetasi) è l’enzima responsabile della trans-sulfurazione dell’omocisteina. Il deficit dell’enzima determina aumento dell’omocisteina nel sangue e omocistinuria. E’ descritta una variante nell’esone 8 del gene, che presenta un’inserzione di 68 bp tra i nucleotidi 844-845; la presenza di questa variante (848ins68), in associazione al genotipo dell’MTHFR 677TT, determina un maggior rischio di occlusione arteriosa e venosa.

Lo studio delle varianti geniche di questi geni è indicata in soggetti con precedenti episodi di tromboembolismo venoso o trombosi arteriosa, donne che intendono assumere contraccettivi orali, soggetti diabetici, ma anche in donne con precedenti episodi di trombosi in gravidanza o donne con poliabortività Â. Studi recenti infatti si orientano verso una connessione tra la genetica dei fattori della coagulazione e i fenomeni di abortività.

Le donne sofferenti di trombofilia ereditaria, eccessiva coagulazione causata da un’anomalia genetica, sono infatti la categoria più a rischio di aborto in utero a gravidanza avanzata. Nella maggior parte dei casi la morte del feto è causata da alterazioni geniche di uno o più fattori della coagulazione del sangue che determinano l’istaurarsi di una trombosi plancentare, caratterizzata da un’ostruzione dei vasi sanguigni placentari. Da un punto di vista della trasmissione genetica, la maggior parte dei difetti trombotici si presenta in forma eterozigote e si trasmette con modalità autosomica dominante a penetranza incompleta. Le persone affette hanno una possibilità su due di trasmettere la predisposizione alla malattia ai figli, indipendentemente dal sesso. In gravidanza una condizione genetica di eterozigosi o omozigosi per uno o più di questi geni è considerata predisponente all’aborto spontaneo.

Una cospicua percentuale dei tumori possono essere ereditari. A seguito di approfonditi studi effettuati su famiglie a rischio, infatti, è stato accertato che le donne che possiedono mutazioni ereditarie a livello dei geni BRCA1 o BRCA2 rischiano di sviluppare un tumore alla mammella nell’87% dei casi, contro una probabilità del 10% dei non portatori di mutazioni.

I tumori ereditari alla mammella sono causati da mutazioni ricorrenti a livello della linea germinale che possono essere trasmessi da entrambi i genitori, sia ai figli maschi che femmine, in maniere autosomica dominante, cioè i figli hanno il 50% di probabilità di ereditare la suscettibilità alla malattia. Le persone che ereditano una mutazione germinale nascono quindi con una copia del gene mutata. Tuttavia è da sottolineare che questi soggetti non ereditano il tumore ma solamente la predisposizione a sviluppare il tumore. Non tutte le persone che sono portatrici della mutazione sviluppano la patologia neoplastica; sebbene queste mutazioni aumentino notevolmente il rischio di insorgenza del tumore, questo non si sviluppa finchè la copia normale del gene corrispondente non viene soggetta a mutazione nel corso della vita. Infatti, poichè ciascun individuo eredita due copie dello stesso gene, deve incorrere un evento mutazionale in ciascuna copia per sopprimere la funzione di quel gene; l’acquisizione di una nuova mutazione può quindi provocare direttamente l’insorgenza del tumore.

BRCA1 e BRCA2 sono geni onco-soppressori localizzati rispettivamente sul cromosoma 17 e sul cromosoma 13. Nelle persone predisposte geneticamente, la perdita della funzione del gene onco-soppressore è dovuta ad eventi mutazionali ricorrenti a livello del citato gene, con conseguente produzione di una proteina anormale. Il test genetico che effettuiamo nel nostro laboratorio determina se una persona presenta o meno delle mutazioni a livello del gene BRCA1 o BRCA2.

Un risultato positivo significa che sono state identificate una o più specifiche mutazioni e quindi può essere stimato in termini probabilistici il rischio di sviluppare il tumore associato a quel tipo di mutazione. Non tutte le donne con mutazioni a livello di BCRA1 o BCRA2 sviluppano la patologia neoplastica, ma il rischio è abbastanza alto.

Un risultato negativo significa che non è stata riscontrata nessuna mutazione. Tuttavia è importante sottolineare che un risultato negativo non significa che la paziente ha rischio zero di sviluppare il tumore al seno; queste donne possiedono lo stesso rischio di tumore riportato per la popolazione generale, ciò perchè la maggior parte di questo genere di tumori si estrinseca in forma sporadica per cause ancora non ben conosciute.